sabato 27 giugno 2009

A Day Without me

Mi è venuto in mente a caso questo pezzo, uno dei primissimi degli U2, non mi ricordo neanche com'è la melodia, solo il testo: "I'm starting a landslide in my ego. Look from the outside to the world I left behind. I'm dreaming, you're awake."
E' un pezzo che parla di suicidio (toh che strano, si vede che oggi sono più allegra del solito!) dell'immagine mentale del proprio funerale. Il fatto è che non mi devo neanche impegnare più di tanto per immaginare questa panoramica, penso che sarebbe un giorno di sole, perchè il destino non mi darebbe nemmeno l'ultima soddisfazione di un giorno plumbeo, sarebbe un giorno di sole e ci sarebbero sì e no dieci persone, comprese i parenti. Questa è la conta degli affetti che mi sono alacremente costruita nel corso degli anni.
Immagino un prete a recitare parole senza emozione, rivolte a rincuorare persone che non ci credono, posso quasi sentire le palate di terra che cadono dentro alla fossa, tump tump tump, l'odore dolciastro e nauseabondo dei gigli, quell'odore proprio dei fiori per i morti, qualche lacrima, pochi singhiozzi, e il mondo continuerebbe a girare, e la mia assenza non sconvolgerebbe l'esistenza di nessuno, in fin dei conti.
Perchè non sono niente, sono invisibile, non lascerei tracce degne di nota dietro di me.
Forse qualcuno, anni dopo, si troverebbe tra le mani uno dei miei cd, e si ricorderebbe di una ragazza che conosceva un sacco di gruppi o con cui aveva bevuto una birra, o trascorso una serata, e magari si domanderebbe dov'è.
Forse qualcun'altro prima o poi, in un momento di noia, controllerebbe i contatti skype-msn-blog-facebook e si chiederebbe come mai non sono più on line.
Ma in fondo sarebbero solo pensieri fugaci, senza sentimento, perchè la realtà delle cose è che sono solo un'ombra, il tempo scorre e cancella i ricordi, cancella gli attimi, e io sono già sbiadita ora, anche se continuo a respirare.

lunedì 22 giugno 2009

Per inter-posta-persona

Non ho una psicologa io, alcune di queste non ben delineate figure hanno attraversato la mia strada, pure psichiatri, mi hanno fatto fare anche tutti i test d'ordinanza, loro.
Quelli storici, come quelli dei Blue Vertigo, "ti piacciono i fiori - ti piacciono le riviste di meccanica". Io una rivista di meccanica non so nemmeno come sia fatta, non credo di averne mai viste in edicola.

C'è questa mia amica che invece c'ha una psicologa, a lei le ha consigliato di scrivere una lettera a una se stessa di cinque anni, la cosa mi ha affascinato, mi ha anche un po' fatto storcere le labbra, della serie "andiamo a ricercare la nostra infelicità odierna nei conflitti infantili".

Sì, da piccola vivevo già nel conflitto interiore, ero chiusa io e i miei genitori hanno fatto la loro, perchè intuivano in me qualcosa che sconfinava, che non era nell'ordine prestabilito, come se fosse Verbo, questa idea dell'ordine.

Ero una solitaria, attaccabrighe, mi affascinavano i fantasmi e l'oscurità e stavo bene solo con i maschi.
Volevo lo skateboard ma non era roba femminile.
Volevo giocare a Dungeons & Dragons nelle notti d'estate.
Volevo scappare, fin da piccola volevo scappare, lo so, sempre saputo, non lo dice la Valentina dell'età di Cristo, l'ha sempre pensato quella me stessa che non voleva farsi imbrigliare nel vestito bene, che non ne voleva sapere di fare comparsa da nonni che detestava; che non sopportava già a quella misera età contratta e obbligata, di sottostare a quello che era prestabilito e giusto.

Quella Valentina lì ha scoperto ben presto i libri, non i libri delle favole, i libri "dei grandi", quando la maggior parte dei suoi coetanei non sapeva neanche leggere, e nei libri ha trovato quello che potrei definire ora, un aereoporto internazionale, con un passaporto valido per qualsiasi destinazione.

E poi la musica, quella c'era sempre.
C'era già Guccini a cui dar retta.
Lunga e diritta correva la strada...
Erano viali alberati di platani nelle gite domenicali a cui non avrei voluto partecipare, era già l'eskimo innocente che neanche sapevo cosa significava.
Erano parole che avrei capito e fatte mie solo tanto tempo dopo.

A cinque anni svendevo me stessa e un paio d'ore di simil-quieta condiscendenza, un paio di porcini per un gelato di due palline a Passo Resia.
Era una bambina che scappava, che incontrava razzi segnaletici su una spiaggia nel suo vagabondare, che cercava di tradurre e capire le parole dei Beatles.
Una bambina che aveva una cameretta rosa o azzurra, di vecchio mobilio rilaccato in casa, che già non voleva vedere quei colori pastello, perchè il fascino del nero la faceva sentire più al sicuro.
Voleva crescere per liberarsi dalle catene quella bambina lì, perchè quando era piccola si illudeva che le catene e i muri fossero gli altri.
Bambina, ragazza, donna.
Sempre le stesse costanti.

L'onnivoro senso di inadeguatezza, la sbruffoneria a volte, la finta sicurezza, qualsiasi cosa volta a mascherare, il vuoto.
Quel tarlo che non smette mai di mangiarti dentro, quella "cosa" che pochi sembrano disposti ad accettare e che in fondo, nessuno capisce.
Se potessi, ad un livello superiore di coscienza, tipo la teoria dei quanti, dello spazio tempo, se potessi vedere quella bambina e potessi parlarle, le consiglierei di non credere in niente, di non cercare di sognare, perchè sarebbero solo castelli infranti, le consiglierei di non credere alle persone, perchè tutto passa ed un momento dopo non c'è più nulla.

A quella bambina che probabilmente non capirebbe nulla di questi discorsi da "persona grande", consiglierei solo di provare a cambiare, di non credere più, perchè i sogni esistono solo di notte,
la fantasia al potere è morta da 40 anni, e in fin dei conti non siamo niente.
A quella Valentina, pur piangendo mentre glielo dico, le consiglio di ascoltare il Guccio:

Non siamo la polvere di un angolo tetro

né un sasso tirato in un vetro

Lo schiocco del sole in un campo di grano,

non siamo, non siamo, non siamo?

Si fa a strisce il cielo e quell'alta pressione

è un film di seconda visione,

è l'urlo di sempre che dice pian piano:

non siamo, non siamo, non siamo.

sabato 13 giugno 2009

Perchè? - Perchè si cambia

Perchè una volta ero diversa?
Perchè era una volta, tempo passato. Si cambia, la vita ti fa cambiare, le scelte cambiano, il percorso cambia, non si può rimanere quello che si era.
Le poche persone che mi conoscono mi guardano e scuotono la testa, pazienza, io parvenze di normalità non ne ho mai avute.
Non mi ritengo più folle del consueto perchè non faccio più, sono io, io che a quasi 33 anni forse ho perso lo smalto, io che mi sono stancata di inseguire ideali, io che ho trovato nell'immobilità dentro e fuori la mia costante.
Nessuno mi ha tolto nulla, non ho mai creduto a chi mi diceva che non potevo qualcosa; quello che potevo o meno fare o desiderare l'ho sempre stabilito io, le circostanze o gli avversi strali mi hanno dato quasi sempre torto, ma ho imparato la pazienza e la sopportazione.
Non sono mai stata una persona ottimista, le volte che ho provato ad esserlo, la vita e gli episodi hanno chiesto pegno.
Certe persone non sono nate per essere serene, prenderne atto non è una rinuncia, è semplicemente essere obiettivi, smettere di sprecare tempo ed energie alla ricerca di qualcosa che non sarà.
E' inutile filosofare sul tempo andato, è inutile recriminarsi su azioni compiute, su pensieri o sentimenti...non serve a nulla.
Credo che dal momento in cui veniamo al mondo scatti una sorta di timer, si può provare a guadagnare tempo, come nei videogiochi, a cercare di raggiungere i bonus, premi extra, ma alla fine dei conti il timer continua a scattare, ed è effimero illudersi di batterlo.
Nell'istante in cui se ne prende coscienza è tutto più facile, è comunque dura, verrebbe lo stesso voglia di urlare, ma quando si realizza che il muro di fronte è invalicabile, passa l'utopia di scalarlo.