domenica 17 maggio 2009

Once Upon a Time

Una volta ERO.

Ero diverse cose, in primis ero una persona, non un’ombra.
Una volta facevo delle cose.

Andavo ai concerti, da sola, armata del mio zaino, del mio i-pod, della mia digitale e della voglia che avevo di vivere la musica, non importa quali concerti, poteva essere un locale di Marina di Ravenna, quanto un concerto grandioso all’Olimpico o a San Siro, prendevo e andavo.

Una volta decidevo di fare delle cose, e le facevo, senza pensarci troppo, oppure se ci pensavo, era solo perché la folgorazione del momento aveva bisogno di un piano strutturato, per la sua realizzazione.

Una volta ero una runner, certo, per chi corre maratone o si allena a 12 km al giorno, i miei patetici 3.5-4 quotidiani possono sembrare patetici risultati, però io l’ho fatto per un anno e mezzo, ho abbandonato il confortevole tapis roulant per l’asfalto; con la pioggia e con il sole, con la febbre, rinunciando alle pause pranzo, cambiandomi nel bagno dell’ufficio e ritornando coi minuti contati per darmi una minima ripulita, correvo sotto l’acqua, correvo con 35° alle 13.30 nel mese di luglio, perché me lo ero imposta, e l’ho fatto, sempre, anche se magari la notte avevo dormito tre ore e non ne avevo la minima forza. Correvo.

Il mio I-Pod è spento è scarico da mesi, non so da quanto tempo non metto su un cd e non ascolto musica, mi sa da quando è uscito l’ultimo degli U2, ascoltato tre volte e nemmeno comprato l’originale, questo è sintomatico, non solo dello stato miserevole delle mie finanze.

Una volta non facevo altro che pensare all’Irlanda, era la mia droga mentale, dovevo tirare avanti, tenere duro, perché sapevo che in qualche modo sarei tornata sulla Verde Isola, che per me era una sorta di Strawberry Fields ”Nothing is real and nothing to get hung about…” .
Solo che l’ultima volta che ci sono stata, la mia “specie di ritorno a casa” mi ha assorbita completamente, la mia essenza vera è rimasta là, intrappolata nel check in forse, overluggage emozionale, non mi hanno imbarcato, nessuna extra charge possibile, e quindi mi sono riportata a casa (concetto quantomeno discutibile) solo una crisalide, un guscio vuoto che lascia intravedere le forme di quella che poteva essere un farfalla, che però ha già preso il volo, troppo presto, con le sue ali immature, troppo debole alle atlantiche mareggiate.

Vivo questa vita sospesa, ogni giorno uguale, senza obiettivi, senza speranze, il semplice esercizio del tirare a campare, cercando che il male non prenda il sopravvento.

E ho paura, ho paura di un futuro che non so cosa mi possa riservare, ho paura di non essere più in grado di essere quella che ero, perché mi sento così inadeguata al contesto, ad ogni contesto.
E mi mancano le forze, non ci sono, e non so dove andarle a cercare, perché non ho più il miraggio della fine settimana lavorativa, di qualche cosa emozionante da fare o persone da vedere, o viaggi a cui aspirare, mi manca il sogno, mi manca l'utopia.

Una volta scrivevo, la maggior parte delle volte deliri, a volte ho partorito qualcosa di buono, ora temo ogni volta che abbozzo qualche cosa, perché so che quando scrivo faccio male a qualcuno.

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