lunedì 22 giugno 2009

Per inter-posta-persona

Non ho una psicologa io, alcune di queste non ben delineate figure hanno attraversato la mia strada, pure psichiatri, mi hanno fatto fare anche tutti i test d'ordinanza, loro.
Quelli storici, come quelli dei Blue Vertigo, "ti piacciono i fiori - ti piacciono le riviste di meccanica". Io una rivista di meccanica non so nemmeno come sia fatta, non credo di averne mai viste in edicola.

C'è questa mia amica che invece c'ha una psicologa, a lei le ha consigliato di scrivere una lettera a una se stessa di cinque anni, la cosa mi ha affascinato, mi ha anche un po' fatto storcere le labbra, della serie "andiamo a ricercare la nostra infelicità odierna nei conflitti infantili".

Sì, da piccola vivevo già nel conflitto interiore, ero chiusa io e i miei genitori hanno fatto la loro, perchè intuivano in me qualcosa che sconfinava, che non era nell'ordine prestabilito, come se fosse Verbo, questa idea dell'ordine.

Ero una solitaria, attaccabrighe, mi affascinavano i fantasmi e l'oscurità e stavo bene solo con i maschi.
Volevo lo skateboard ma non era roba femminile.
Volevo giocare a Dungeons & Dragons nelle notti d'estate.
Volevo scappare, fin da piccola volevo scappare, lo so, sempre saputo, non lo dice la Valentina dell'età di Cristo, l'ha sempre pensato quella me stessa che non voleva farsi imbrigliare nel vestito bene, che non ne voleva sapere di fare comparsa da nonni che detestava; che non sopportava già a quella misera età contratta e obbligata, di sottostare a quello che era prestabilito e giusto.

Quella Valentina lì ha scoperto ben presto i libri, non i libri delle favole, i libri "dei grandi", quando la maggior parte dei suoi coetanei non sapeva neanche leggere, e nei libri ha trovato quello che potrei definire ora, un aereoporto internazionale, con un passaporto valido per qualsiasi destinazione.

E poi la musica, quella c'era sempre.
C'era già Guccini a cui dar retta.
Lunga e diritta correva la strada...
Erano viali alberati di platani nelle gite domenicali a cui non avrei voluto partecipare, era già l'eskimo innocente che neanche sapevo cosa significava.
Erano parole che avrei capito e fatte mie solo tanto tempo dopo.

A cinque anni svendevo me stessa e un paio d'ore di simil-quieta condiscendenza, un paio di porcini per un gelato di due palline a Passo Resia.
Era una bambina che scappava, che incontrava razzi segnaletici su una spiaggia nel suo vagabondare, che cercava di tradurre e capire le parole dei Beatles.
Una bambina che aveva una cameretta rosa o azzurra, di vecchio mobilio rilaccato in casa, che già non voleva vedere quei colori pastello, perchè il fascino del nero la faceva sentire più al sicuro.
Voleva crescere per liberarsi dalle catene quella bambina lì, perchè quando era piccola si illudeva che le catene e i muri fossero gli altri.
Bambina, ragazza, donna.
Sempre le stesse costanti.

L'onnivoro senso di inadeguatezza, la sbruffoneria a volte, la finta sicurezza, qualsiasi cosa volta a mascherare, il vuoto.
Quel tarlo che non smette mai di mangiarti dentro, quella "cosa" che pochi sembrano disposti ad accettare e che in fondo, nessuno capisce.
Se potessi, ad un livello superiore di coscienza, tipo la teoria dei quanti, dello spazio tempo, se potessi vedere quella bambina e potessi parlarle, le consiglierei di non credere in niente, di non cercare di sognare, perchè sarebbero solo castelli infranti, le consiglierei di non credere alle persone, perchè tutto passa ed un momento dopo non c'è più nulla.

A quella bambina che probabilmente non capirebbe nulla di questi discorsi da "persona grande", consiglierei solo di provare a cambiare, di non credere più, perchè i sogni esistono solo di notte,
la fantasia al potere è morta da 40 anni, e in fin dei conti non siamo niente.
A quella Valentina, pur piangendo mentre glielo dico, le consiglio di ascoltare il Guccio:

Non siamo la polvere di un angolo tetro

né un sasso tirato in un vetro

Lo schiocco del sole in un campo di grano,

non siamo, non siamo, non siamo?

Si fa a strisce il cielo e quell'alta pressione

è un film di seconda visione,

è l'urlo di sempre che dice pian piano:

non siamo, non siamo, non siamo.

4 commenti:

Prisma ha detto...

...e invece ti dico: una che sa scrivere parole così profonde e intense sul vuoto e l'inadeguatezza che ci portiamo dentro, È, È, È!

Carlotta ha detto...

anche io a quella Valentina le consiglio di ascoltare il Guccio..le consiglio anhce cosa...


E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente
e capirai che la vera ambiguità
è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini...
E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere, vivere e poi, poi vivere e poi, poi vivere...

Baol ha detto...

Non siamo un sacco di cose, è vero, non siamo tutto quello che quella meravigliosa canzone dice, ma siamo anche un sacco di cose; siamo fatti dei sogni, belli e brutti, che ci hanno accompagnati, siamo fatti di mattoncini colorati. Amica mia, se tu non avessi sognato non saresti quella che sei, bella e buona come sei.
Amica mia io sono qui, lo sai
un abbraccio

Hiraeth ha detto...

@ Yuki-Prisma: Cara, "sono" dici tu, io ti ringrazio della fiducia, ma a me sembra tanto di non-essere...

@ Carlotta: Questa mi fa pensare più ad Augusto che al Guccio, però più che altro a me viene sempre in mente "Canzone quasi d'amore", o più di tutto, "quel lento scorrere senza una scopo, che chiami vita".

@ Baol: Tu in fondo sei una persona positiva, alla fine dei conti, trovi sempre qualche bel pensiero, una sorta di catarsi, però vedi, io non vorrei proprio per niente essere come sono. Pagherei oro per avere una testa -o quel che ne rimane- diversa, quindi in fondo, quei sogni non sono serviti a niente. Grazie però, e scusa la mia assenza, è che ultimamente non ho poi molto da dire, e mi sento pure inadeguata a parlare, ma siccome non mi va di fare la vittima o lamentarmi preferisco rintanarmi.
Abbraccio!