Quando avevo 19 anni ero una tipo un po’ ribelle, una punk darkeggiante come mi piaceva definirmi all’epoca; a non so più quale concerto Oi! conobbi Ligaia, una skin-girl di colore fiorentina, che suo babbo era un maggiore dell’aviazione americana e a casa sua si mangiavano sempre un sacco di cose strane, che prendeva allo spaccio di Camp Darby, che eravamo capaci di mangiarci i pici toscani e poi berci dietro del succo di frutta di un improbabile rosa shocking che si faceva con delle bustine che mettevamo a sciogliere nell’acqua. Inseparabili si era noi due, nonostante la distanza e che non c’erano neanche i cellulari e skype e internet per comunicare, si girava per l’Italia a vedere concerti nei centri sociali, che ci si dava appuntamento alla stazione di Bologna e poi si partiva con il treno assieme, oppure si facevano le “zingarate” con i compari fiorentini che disponevano del lusso di un’automobile, si girava per il centro di Firenze a mangiare focaccine ripiene e poi s’andava al Franchi a veder la Viola, che c’era ancora Batigol allora. Eran bei tempi se la devo dire tutta. Ho abitato per un mese a Firenze, per l’esattezza a Lastra a Signa, anonima borgata sulla strada per Scandicci, avevamo riattato una specie di appartamento in uno scantinato della sua casa di famiglia, un lenzuolo per tenda, una minicucina improvvisata, insomma ci s’arrangiava, pure l’uomo m’ero trovata, un fidanzato fiorentino doc. Ecco, io dovevo proprio trasferirmi a Firenze in pianta stabile, che dovevo pure iniziare un lavoro, a preparar le colazioni all’hotel Baglioni. A tal fine risalii in Romagna, per una settimana, che dovevo far le valigie, radunare i miei averi, salutar gente e far cose in vista dell’imminente naturalizzazione toscana. Quella settimana lì il mio fidanzato fiorentino mi lasciò, per telefono. Decisi di rimandare la calata di qualche tempo, che dovevo tipo cicatrizzarmi, che lui era pure uno della banda nostra e quindi mica ce l’avrei fatta ad affrontarlo così subito a fresco. Nel frattempo, la mia impagabile amica Ligaia mi stava vicina un mucchio, telefonicamente, che si stava ore in cabina a parlare, mi capiva lei, che comunque non c’era problema se scendevo dopo un po’, che la casa era la sua e il lavoro rimaneva vacante. Ecco, la settimana seguente, ho scoperto che lei e il mio ex si erano messi assieme. Se non altro, a questo devo il possedere ancora la pronuncia della lettera acca, che a star coi Fiorentini ci vuol niente a perderla per strada.
A quel punto l’avevo imparata la lezione, che delle donne non ci si deve mica fidare e infatti io stavo proprio bene per i fatti miei e con i miei amici maschi, che non sono così avvezzi a pugnalarti alle spalle, mal che vada posson provare a portarti a letto, ma almeno lo fanno senza tanti giri di parole e machiavellici sotterfugi.
Poi invece ci sono ricascata ancora, con questa cosa che ho tipo il vizio di dare fiducia alle persone e a volerci vedere il buono, maledetta buonafede.
T. era una ragazza che era una quasi “parente acquisita”, era di Trento lei, e si era un sacco vicine mentalmente, che avevamo proprio gli stessi interessi, era un po’ un maschiaccio pure lei, poi ci si capiva al volo, si finivano le frasi una per l’altra, si pensavano le stesse cose contemporaneamente, due menti affini mi dicevo io, che ero felice per davvero, dopo un mucchio di tempo di aver finalmente trovato una persona del mio stesso sesso che mi capisse, con cui poter condividere pensieri ed emozioni e risate e mille piccole cose di cui ho ancora ricordi che se ci penso mi vien ancora da piangere. Lei era fidanzata, io avevo smesso, io stavo da sola, che ho cominciato ad abitar da sola a 20 anni io, e quando un giorno lei decise che non voleva più stare con il suo ragazzo e non sapeva dove andare, io feci l’errore di prendermela in casa, all’epoca avevo una casa che c’era spazio anche per due e in fondo mi faceva pure comodo qualcuno che mi aiutasse con le spese e che poi tipo riempisse con la sua presenza il vuoto che mi prendeva al rincasare ogni sera da sola. Son stati mesi carini, tutto assieme si faceva, ci addormentavano a notte inoltrata dopo aver visto film o ascoltato i nostri dischi di rock anni ’70, e leggevamo gli stessi libri e parlavamo per ore e ore, ci assistevamo nelle reciproche crisi e mi sembrava proprio bella questa cosa di mutua assistenza, “la mia sorellina” mi chiamava lei. Arrivò l’estate e si cominciò a vedersi di meno, che lei lavorava al mare e magari a volte dormiva pure là se doveva attaccare presto, lavorava un mucchio a far la stagione lei. Poi, una domenica mattina, la sentii rincasare e trafficare nell’altra stanza, come mille altre volte, ero troppo stanca per alzarmi e andare a vedere cosa stesse combinando e perché facesse così rumore. Quando mi alzai trovai un bigliettino, sul tavolo della cucina, e un paio di banconote da 100, per la sua parte di affitto e di bollette, una camera più grande aveva trovato lei, che era più comoda per le sue cose e dove aveva più spazio, qualcosa del genere ci stava scritto sul bigliettino per la sua sorellina a cui voleva più bene che alla sorella vera.
Questo è successo quasi dieci anni fa e quella volta l’ho imparata per davvero la lezione che non ho mai più avuto un’amica donna.