domenica 2 novembre 2008

Non ci posso credere

La terapia elettroconvulsivante (TEC), comunemente nota come elettroshock, è una tecnica terapeutica, basata sull'induzione di convulsioni nel paziente successivamente al passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello. La terapia fu sviluppata e introdotta negli anni trenta dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini.
L'effettiva utilità ed opportunità di questa tecnica è tutt'oggi molto dibattuta. Alcune tipologie di pazienti presentano oggettivi miglioramenti in seguito al trattamento. La terapia ha comunemente una fama negativa presso parte dell'opinione pubblica, a causa sia dell'abuso e della pratica aggressiva che se ne è fatta in taluni casi, sia della presentazione che ne è stata a volte data in letteratura e cinematografia.

Cerletti arrivò a utilizzare l'elettroshock terapeutico sull'uomo in conseguenza degli esperimenti da lui condotti sugli animali circa le conseguenze neurologiche di ripetute
crisi epilettiche. All'Università di Genova e successivamente all'Università di Roma, usò apparati elettroconvulsivanti per provocare attacchi epilettici ripetibili e controllabili su cani e altri animali. L'idea di utilizzare la TEC su pazienti neuropsichiatrici gli venne dopo aver osservato alcuni maiali che venivano anestetizzati con una scarica elettrica prima di essere condotti al macello. Va inoltre considerato che sin dal 1935 il metrazol (un farmaco convulsivante) e l'insulina erano largamente usati in molti Paesi per il trattamento della schizofrenia, con risultati interessanti.
L'approccio era basato sulle ricerche effettuate dal premio Nobel
Julius Wagner-Jauregg sull'uso di convulsioni indotte attraverso la malaria per la cura di alcuni disturbi nervosi e mentali - come la demenza paralitica causata dalla sifilide - nonché sulle teorie sviluppate da Ladislas J. Meduna, secondo il quale la schizofrenia e l'epilessia erano disturbi antagonisti; ricerche e teorie che nel 1933 portarono Manfred Sakel a sviluppare la terapia del coma insulinico in psichiatria.
Cerletti usò per la prima volta la terapia elettroconvulsivante nell'aprile del
1938, in collaborazione con Lucio Bini, su un paziente affetto da schizofrenia con sintomi di delirio, allucinazione e confusione; una serie di elettroshock terapeutici permisero al paziente di tornare ad uno stato mentale di normalità. Conseguentemente, negli anni successivi, Cerletti e i suoi collaboratori effettuarono regolarmente gli elettroshock terapeutici, sia su animali sia su pazienti neuropsichiatrici, arrivando a determinare l'affidabilità della terapia e la sua sicurezza e utilità nella pratica clinica, soprattutto per il trattamento della psicosi maniaco-depressiva, e dei casi più gravi di depressione. Il suo lavoro e le sue ricerche ebbero un'influenza notevole, e l'uso della terapia si diffuse velocemente in tutto il mondo.
Inizialmente la terapia veniva praticata su pazienti coscienti, senza l'uso di
anestesia e rilassanti muscolari. I pazienti perdevano conoscenza durate la seduta e subivano violente contrazioni muscolari incontrollate, che a volte potevano causare fratture ossee (specialmente alle vertebre) e stiramenti muscolari.
È possibile che la terapia stessa sia stata impiegata come mezzo di punizione e di sedazione per i pazienti ribelli (tra cui possono essere collocati anche soggetti sani ma ritenuti socialmente deviati).
Con il miglioramento farmacologico delle terapie per le malattie mentali, nella seconda metà del
XX secolo l'uso elettroshock si è notevolmente ridotto.
Verso la metà degli
anni ottanta la terapia ha conosciuto una fase di espansione e di rivalutazione negli Stati Uniti, allorché le compagnie assicurative avevano introdotto nei contratti una clausola in base alla quale esse avrebbero pagato agli assicurati il ricovero per non più di sette giorni, decorsi i quali la copertura assicurativa sarebbe scattata solo nel caso di necessità di interventi maggiori, quali per esempio quelli chirurgici; nello specifico, in psichiatria, l'unico intervento maggiore che avrebbe giustificato la prestazione assicurativa anche oltre i primi sette giorni di ricovero è l'elettroshock.
Oggi è impiegato nel trattamento dei casi in cui ha dimostrato un'utilità certa (casi tra i quali non figura la schizofrenia) previa somministrazione di anestetici e rilassanti muscolari per controllare le convulsioni.

Attuale impiego terapeutico

Attualmente la TEC è utilizzata prevalentemente nel trattamento della depressione grave, in particolare nelle forme complicate da psicosi. (NIH & NIMH Consensus Conference, 1985; Depression Guideline Panel, 1993; Potter & Rudorfer, 1993).
Può essere impiegata anche in casi di depressione grave in cui la terapia con
antidepressivi ripetuta e/o la psicoterapia non si sono rivelati efficaci. (Potter et al., 1991; Depression Guideline Panel, 1993), nei casi in cui queste terapie siano inapplicabili o quando il tempo a disposizione è limitato (per esempio nei casi di tendenze suicide).
Altre indicazioni specifiche si hanno nei casi di depressione associata a malattie o
gravidanza, in cui la somministrazione di antidepressivi può essere rischiosa per la madre o per lo sviluppo del feto. In questi casi, dopo avere attentamente valutato il rapporto costo/benefici, alcuni psichiatri ritengono la terapia elettroconvulsivante la soluzione migliore per la depressione grave.
In alcuni casi la TEC è anche usata per trattare le fasi maniacali del
disturbo bipolare e condizioni non comuni di catatonia. L'elettroshock deve essere somministrato in condizioni controllate e da personale specializzato (Rudorfer et al., 1997), come imposto da diverse legislazioni relative alla salute mentale.
In Italia il riferimento principale è la circolare del Ministero della Salute del
15 febbraio 1999. La TEC deve essere somministrata esclusivamente nei casi di "episodi depressivi gravi con sintomi psicotici e rallentamento psicomotorio", dopo avere ottenuto il consenso informato scritto del paziente, al quale devono essere esposti i rischi ed i benefici del trattamento e le possibili alternative. L'applicazione dello shock deve avvenire su paziente incosciente per l'effetto di anestetici e trattato con rilassanti muscolari per controllare le contrazioni muscolari.
Esistono casi in cui la validità del consenso informato è dubbia a causa dello stato mentale del paziente. Questi casi impongono gravi problemi decisionali, in cui contrastano tra loro la salute del paziente, la sua capacità decisionale, la responsabilità del medico e la relazione medico-paziente. La legislazione e la
giurisprudenza delle diverse nazioni che si trovano ad affrontare il problema sono in progressiva evoluzione.
Attualmente la AITEC (Associazione Italiana per la Terapia Elettroconvulsivante), il cui presidente è il Prof. Giuseppe Bersani dell'Università Sapienza di Roma, ha sottoscritto una petizione per il Ministro della Salute per incentivare l'utilizzo di questa terapia in Italia, sulle orme di quanto già succede in tutto il resto d'Europa.

Tecnica terapeutica
Per indurre le convulsioni viene fatta passare una corrente elettrica costante (tipicamente 0,9
Ampere) attraverso il cervello per mezzo di due elettrodi applicati in specifici punti della testa, previa apposizione di un gel, una pasta o una soluzione salina per evitare bruciature della pelle. Un tempo gli elettrodi erano collocati sulle tempie, oggi si preferisce l'applicazione all'emisfero cerebrale non dominante, di solito a destra (TEC monolaterale). In questo modo si evita il passaggio della corrente direttamente attraverso le aree della memoria e dell'apprendimento.
Poiché nelle moderne apparecchiature viene somministrata una corrente costante, la tensione varia fino a un massimo che tipicamente è di 450
volt, ma solitamente si colloca a valori pari a circa la metà. Spesso le macchine sono programmabili in joule, in modo che il terapista possa somministrare la minima energia possibile, riducendo la durata dello shock. Il manifestarsi delle convulsioni viene constatato con un monitoraggio elettroencefalografico.
Le convulsioni indotte, se non modificate, sono più intense di quelle prodotte durante una
crisi epilettica. L'induzione di adeguate convulsioni generalizzate è necessaria per produrre l'effetto terapeutico (Sackheim et al., 1993).
Terminate le convulsioni si ha un periodo di tempo durante il quale l'attività corticale è sospesa e il
tracciato elettroencefalografico è piatto. Alcuni psichiatri oppositori della TEC affermano che questa fase equivalga alla morte cerebrale e sia causa di danno cellulare, tuttavia non esistono prove certe al riguardo. Al risveglio i pazienti non hanno alcun ricordo delle convulsioni e dei momenti precedenti la sessione. Alcuni medici hanno paragonato la TEC e il meccanismo terapeutico che offre al reset dei computer (lo psichiatra Franco Basaglia affermò che curare una persona con l'elettroshock era come "prendere a pugni un televisore per aggiustarne la frequenza").
Il ciclo terapeutico comprende da sei a dodici trattamenti somministrati al ritmo di tre volte a settimana. Secondo studi le sedute devono essere separate da almeno un giorno.
Il meccanismo di azione della TEC non è conosciuto, ma diversi studi hanno dimostrato che la ripetuta applicazione del trattamento influisce su diversi
neurotrasmettitori nel sistema nervoso centrale. La TEC sembra sensibilizzare due sottotipi di recettori per la serotonina (5-HT), aumentando la trasmissione del segnale. Inoltre la TEC riduce l'efficacia della norepinefrina e della dopamina inibendo gli auto-recettori rispettivamente nel locus coeruleus e nella substantia nigra, causando il rilassamento di molti pazienti (Ishihara K, Sasa M., 1999).

Rischi ed effetti indesiderati
I rischi maggiori presentati dalla TEC sono quelli dovuti all'anestesia generale. Non ci sono altri gravi rischi che ne precludano l'uso.
I principali effetti collaterali sono confusione e perdita della memoria degli eventi prossimi al periodo del trattamento. Entrambi gli effetti scompaiono generalmente nell'arco di un'ora dal risveglio.
Gli effetti persistenti sulla memoria sono variabili. Tipicamente, nel trattamento bilaterale, con gli elettrodi posti cioè ai due lati del cranio, si può avere una parziale perdita di memoria per gli eventi accaduti nel periodo delle sessioni terapeutiche e nei sei mesi precedenti, con difficoltà a memorizzare nuove informazioni per un periodo di due mesi dopo il trattamento (NIH & NIMH Consensus Conference, 1985).
Alcuni studi di neuropsicopatologia hanno mostrato un ritorno alla normalità delle capacità di memorizzazione ed apprendimento dopo diversi mesi (Calev, 1994), sebbene l'entità del danno alla memoria ed il recupero sia molto variabile da individuo ad individuo (NIH & NIMH Consensus Conference, 1985; CMHS, 1998).
I timori che la TEC possa indurre danni cerebrali strutturali non trovano conferma in decenni di ricerche sia su umani che su animali (NIH & NIMH Consensus Conference, 1985; Devanand et al., 1994; Weiner & Krystal, 1994; Greenberg, 1997; CMHS, 1998). Altri studi al contrario suggeriscono che il trattamento TEC a lungo termine sembra proteggere il cervello dagli effetti dannosi della depressione. La TEC incrementa l'espressione di fattori neurotrofici cerebrali nel
sistema limbico, stimolando la crescita e proteggendo i neuroni dall'atrofizzazione indotta dalla depressione. (Duman RS, Vaidya VA., 1998).
Un effetto indesiderato minore è il dolore muscolare sofferto al risveglio a causa dei rilassanti muscolari.

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